CON IL DEBITO PUBBLICO CHE CONTINUA A CRESCERE, LA PROBABILITA' DI BANCAROTTA DELL'ITALIA E' DEL 23,64% (ENTRO 10 ANNI)
lunedì 15 dicembre 2014Il debito pubblico italiano torna a salire, ad ottobre, a 2.157,5 miliardi, piu' 23,5 su settembre. Non si riesce dunque a mettere l'indebitamento sotto controllo e questo e' un guaio serio per il governo che ha per ora evitato l'apertura di una procedura d'infrazione da Bruxelles; ma solo fino a marzo quando la Commissione esaminera' lo stato di avanzamento delle riforme. In sostanza, il dato certifica il fallimento della politica economica del governo Renzi, incapace di contenere - almeno - la spesa pubblica.
Il fatto poi di essere in compagnia della Francia non puo' essere ne' un alibi ne' un paravento. La scarsa propensione riformista (dove alla parola riforme corrispondono tagli alle pensioni, alla sanità, agli stipendi) di Parigi e' - fortunatamente - nota, pero' i francesi sono messi di gran lunga meglio sotto il profilo della fiducia che i mercati continuano ad accordare ai loro titoli pubblici (anche la' il debito ha superato i 2 mila miliardi di euro, ma in rapporto al Pil e' al 92% contro il 132 dell'Italia), e questo per una serie di motivi: lo spread italiano oscilla intorno a 140 punti, quello francese e' di 27; gli interessi che il Tesoro paga sui decennali sono qui il 2,04%, comunque ai minimi, a Parigi lo 0,9.
Il rating assegnato all'Italia e' in area B (ad eccezione dell'agenzia canadese DRBS che ci assegna A-low), quello della Francia, benche' declassato, inalbera come minimo doppie A.
Diciamo che il buon trattamento riservato da mesi all'Italia sui mercati e' dovuto piu' alle iniziative e agli annunci della Banca centrale europea che non ai meriti del Paese. E, forse, se Mario Draghi mettera' in atto a gennaio l'acquisto di titoli pubblici, il costo del debito diminuira' ancora. Ma non calera' l'enorme stock del debito stesso. C'e' poi un altro indicatore, spesso trascurato, che inquadra la percezione dell'Italia da parte degli operatori internazionale.
Si tratta dei Cds, Credit default swaps, certificati assicurativi per chi investe sui titoli pubblici dei vari paesi. In pratica, sono polizze anti-default, totale o parziale. Sono quotate su un mercato particolare e rilevate soprattutto da Markit, agenzia di brokeraggio, il cui dato e' noto anche come "indice della paura". Infatti piu' elevato e' il prezzo dei Cds, maggiore e' l'eventualita' di default.
Ebbene, in questo momento i Cds italiani sono di 35 punti su un anno, di 118 su cinque, di 194 su dieci. Il che equivale a una probabilita' di default rispettivamente dello 0,55%, dell'8,17, del 23,64.
La Spagna ha queste percentuali: 0,35 su un anno, 5,69 su cinque, 16,3 su dieci.
La Francia lo 0,12, il 2,25, l'8,91.
Il paese considerato piu' sicuro non e' la Germania (percentuali di default dello 0,02, dello 0,08, del 2,49) ma gli Stati Uniti: rischio dello 0,1 su un anno, dello 0,06 su cinque, dello 0,47 su dieci anni.
Il motivo e' semplice: la Federal Reserve, la banca centrale americana, ha molti piu' strumenti di difesa della Bce.
Negli anni piu' duri della crisi europea il Cds italiani erano ancora piu' cari: nel 2009 toccarono quota 200, nel 2011 i 450 punti. Ma, appunto, non si era aperto l'ombrello della Bce.
E nonostante il calo dei Cds, il fatto che i mercati ci assegnino, sia pure in via teorica, poco meno delle probabilita' di default da qui a dieci anni del Brasile (29,49%) o del Portogallo (29,71) non e' precisamente una medaglia.
Per inciso: il paese tra i maggiori piu' a rischio default e' in questo momento la Grecia (13,09% di probabilita' a un anno, 47,16 a cinque, 67,84 a dieci), seguito dalla Russia: 6,45% a un anno, 27,52 a cinque, 43,75 a dieci.
Entrambi hanno gia' visto il default negli ultimi anni, segno che l'indice della paura non e' cosi' teorico.
Redazione Milano.